alla fine l'ho fatto...

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Dai fai un copia ed incolla anche del resoconto che dall'ufficio non accedo a faccialibro e sono curiosissimo di leggerlo.
Complimenti per il viaggio. Hai dormito sempre in tenda?
Anonymous
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solo una notte in tenda
La prima notte a Portocannone in un appartamento (quello che per fortuna ho trovato il giorno prima). La seconda in nave (passaggio ponte). La terza a Scutari in albergo (il campeggio più vicino era un po' troppo lontano e in mezzo al nulla, mentre io volevo restare vicino al lago). L'ultima a Orebic in tenda.

ecco il resoconto

Alle 4,07 del 22 agosto il motore delle Bonneville si è spento e un calmo silenzio finalmente mi avvolge dopo 20 ore quasi ininterrotte di guida.
Ero stanco. Eravamo stanchi, io e lei. Era stata lunga; era stata anche dura, quel giorno. Ci eravamo preoccupati, forse troppo, forse inutilmente, chissà. O forse mi ero preoccupato solo io. Lei no. Contrariamente ai miei timori, mi aveva riportato a casa senza una piega.
Avevamo viaggiato per 3000 chilometri, dei quali 1100 nelle ultime venti ore. Eravamo stati assieme come mai lo eravamo stati. Eravamo partiti 5 giorni prima per un viaggio che ci avrebbe portato in posti che non avevo mai visto e che le sue ruote non avevano mai calpestato.
E? stato un viaggio piccolo e breve, ma fortemente voluto, quasi agognato da due anni o anche più, da quando vicende private e personali mi hanno fatto sentire il bisogno di un viaggio in moto, da solo, per raccogliere pensieri, per scoprire luoghi nuovi, e forse anche un pezzo di me stesso. Ho accarezzato l?idea leggendo libri di Italo Barazzutti, Giorgio Bettinelli, Ted Simon, viaggiatori su due ruote che mi hanno fatto sognare a occhi aperti. Beh? loro viaggiavano per mesi, anni. Io non ho tutto questo tempo, ma non importa. Quello che voglio è vivere qualche giorno senza pensare a niente, con il vento in faccia, guidando senza correre, godendo di panorami e strade che so o immagino essere bellissimi.
E dire che non era mica cominciata tanto bene ! Tre giorni prima della partenza, complice una stupidissima distrazione, la moto mi cade da ferma. Ovviamente con me sopra. La leva della frizione si piega e il mio bicipite femorale sinistro si rompe. L?orgoglio colpito, la moto danneggiata, la gamba dolorante? Comincio a temere per il mio progetto, ma non permetterò ad un muscolo ferito o a un pezzo di ferro di fermarmi.
Parto il 17 agosto, alle 8 di mattina. Viaggio libero e felice, con un sorriso ebete stampato sulla faccia. Niente autostrade. Ho voglia di curve da pennellare. Non m?interessano le medie autostradali, anche se qualche digressione in superstrada sarà necessario farla. La strada scorre liscia, danzo tra curve semplici in posti bellissimi. L?Umbria, il Lago di Campotosto e il Gran Sasso regalano scenari da favola. Dovrò tornarci con più calma. Meritano molto più di un passaggio fugace.
Arrivo a Igoumenitsa alle 5 di mattina del 19 agosto, dopo un viaggio in nave in cui ho dormito poco e male. La mente corre alla prima volta che ho visto questo porto, ormai dieci anni fa. All?epoca era solo una tappa e non scesi dalla nave. Tutto mi sembrava così strano. Erano gli anni in cui molti albanesi venivano a cercare fortuna in Italia, e appena una ventina di chilometri dividevano il ricco occidente da un paese poverissimo in cerca di riscatto.
La giornata non comincia bene, purtroppo. Dopo poche curve, m?imbatto in un cane agonizzante in mezzo alla strada, evidentemente investito da un?auto, con un altro lì accanto che abbaia disperatamente chiamandolo. Mi fermo, ma non so cosa fare. Provo ad avvisare la polizia, ma mi accorgo che la cosa non li sposta di un millimetro. Spero solo che almeno uno dei due animali sia sopravvissuto. Riparto, ma questo episodio mi ha lasciato l?amaro in bocca. Sono meno entusiasta, sinceramente scosso, ma cerco di non pensare. Mi ridarà il sorriso il poliziotto albanese alla frontiera che, dopo qualche battuta, mi saluta con un ?Ciao Alessandro!?. Dopo aver fatto l?assicurazione temporanea, comincia il mio viaggio in Albania. Ne ho lette di cose in questi mesi. Resoconti di viaggio che narrano di strade malmesse, sterrate e con buche enormi, attraversate improvvisamente da animali di tutti i tipi. Pochi chilometri dopo la frontiera, nei quali la strada scorre liscia e bellissima, larga, con curve rotonde e ben asfaltate, mi accorgo che è tutto vero. La pericolosità delle strade è denunciata dai numerosissimi altarini che ne costellano il ciglio. Gli stessi resoconti narrano anche di gente gentilissima e ospitale. Anche di questo avrò la prova di lì a poco.
La strada corre lungo il mare sfiorando piccole insenature con acqua cristallina e rocce bianchissime. Poi s?inerpica su, arrivando velocemente a oltre 1000 metri, e poi di nuovo giù, in mezzo al bosco. Dopo un po? lascio il mare e devio verso l?interno, per raggiungere Scutari, dove arrivo sudatissimo e coperto da una patina bianca e appiccicosa. Decido di lavare la moto e lì, nell?autolavaggio (un ragazzo con idrocompressore) fa il suo ingresso trionfale nella mia breve vacanza l?immancabile figura del menagramo che, nel mio caso, si incarna in un tipo di Pistoia. Fermatosi per far lavare una golf pulitissima, dopo qualche scambio di battute nelle quali gli accenno del mio viaggetto in solitaria, se ne esce con un lapidario: ?Io non lo farei mai, VEDI MAI SUCCEDESSE QUALCOSA !?. Mentre il menagramo lancia la sua jattura, il ragazzo dell?autolavaggio orienta il getto dell?idrocompressore sui comandi della moto e non faccio in tempo a fermarlo. Sgrano gli occhi e in silenzio inizio un rosario di esclamazioni non riferibili. Quando riaccendo la moto il motore scoppietta. Immagino/spero che siano solo le candele bagnate e mi riavvio continuando a sgranare il rosario di cui sopra, condito da pacifici auguri di ?facili? disavventure diretti al pistoiese.
Il giorno dopo in realtà tutto scorre bene, passo in Montenegro e arrivo presto alle Bocche di Cattaro, dove decido di fermarmi e godermi un bagno in un?acqua con sfumature dal celeste al blu cobalto. Mentre scendo a piedi verso il mare, scivolo e mi procuro una brutta distorsione alla caviglia destra. Riprendo in mano il rosario del giorno prima, recitandolo stavolta ad alta voce, incurante della presenza di un bagnante che mi guarda attonito. Comunque il bagno lo faccio lo stesso.
Da lì fino a Orebic, sulla penisola di Peliesac, in Croazia, le strade sono il paradiso per un motociclista. Belle, larghe, con ampie curve da godere senza chiudere mai il gas, con il mare che scorre sulla sinistra a delimitare un orizzonte nel quale cielo e isole la fanno da padroni. Il traffico è quasi inesistente. Sento solo il rumore del motore che canta rotondo e tranquillo. Ritrovo quella serenità che avevo avuto all?inizio del viaggio e che poi avevo parzialmente perso dopo l?episodio dei cani. Il volto si distende di nuovo e penso che quello che sto vivendo è esattamente quello che volevo. Forse addirittura meglio.
Il giorno dopo riprende nella stessa maniera, dopo una notte in tenda e un breve tratto in traghetto da Trpanj a Ploce. Curve da pennellare in scioltezza quasi senza toccare i freni, per chilometri e chilometri. Supero Spalato,arrivo a Trogir e qui, in questa piccola bellissima cittadina, il menagramo consuma la sua vendetta e realizza la jattura definitiva. La moto fa fatica a riaccendersi. Ho già capito qual è il problema e so che la causa è proprio quel getto d?acqua spruzzato a pressione sui comandi due giorni prima. In teoria saprei anche come risolverlo ma, complici forse il nervosismo, il caldo opprimente(si viaggia tra i 40 e i 41), la vista che (ahimè) non è più la stessa, non ci riesco. E? un problema che mi ha già lasciato a piedi due volte, e mi lascio prendere dall?ansia. Avevo previsto un?altra tappa, ma la paura di rimanere fermo mi convince ad andare diretto verso l?Italia, cercando di fermarmi solo per mettere benzina, e sperando ogni volta che la ?ragazza? decida di fare la brava e ripartire. Però, sulla strada di ritorno, voglio mantenere una promessa che avevo fatto a me stesso 21 anni fa e mi concederò una puntata a Knin, nell?interno. Nel 1990, diretto con amici a Spalato per assistere ai Campionati Europei di Atletica Leggera, avremmo dovuto passare da lì. In quegli anni i Balcani stavano prendendo fuoco, e Knin era uno dei luoghi più pericolosi. Ne vedemmo i tetti da lontano, ma ci consigliarono caldamente di tenerci alla larga. Quel nome, quel luogo, di per se insignificante e uguale a centinaia di altri, assorse nel mio immaginario a simbolo di un momento storico e decisi che prima o poi ci sarei tornato. Le strade non cambiano, manca solo il mare a delinearne le curve, ma sono ugualmente ben tenute e bellissime. A Knin mi fermo per chiedere informazioni ad un gruppo di ragazzi e ragazze che probabilmente 21 anni fa non erano neppure nati. Per loro ero solo uno straniero che ? forse ? si era perso. Magari si sono pure chiesti che diavolo ci sarò venuto a fare a Knin, un luogo senza attrattive e a malapena segnato sulle rotte turistiche, invece di starmene vicino al mare, a prendere il sole. Per me, invece, loro sono il simbolo di un luogo che venti anni fa era isolato dal mondo, perso nella sua lotta di ribellione ad un regime che non aveva mai voluto, e che adesso è rinato, vivo e vitale, abitato da giovani che forse della guerra si ricordano poco o niente, e vogliono solo sognare il loro futuro come milioni di altri giovani coetanei occidentali. Dopo Knin, mi rimane solo da guidare, quasi ininterrottamente fino a casa. Dopo aver attraversato un altipiano disseminato di campi minati, case e chiese distrutte e non ancora ricostruite, luoghi desolati e quasi disabitati, dove la guerra ha evidentemente picchiato duro e lasciato cicatrici che, dopo 16 anni, ancora bruciano e non si sono rimarginate, riguadagno il mare a Modric e comincia la mia risalita lungo la Jadranska Magistrala.
Stessi scenari idilliaci e stesse strade lisce e rotonde. Mi godo le ultime curve prima di passare in Slovenia e poi in Italia. Qui decido di infrangere una regola che mi ero dato all?inizio del viaggio, prendendo l?autostrada. Sono stanco e i chilometri sono ancora molti. Non mi fido della moto, ho paura che mi lasci in panne e preferisco mettere benzina nelle aree di servizio autostradali. Due soste, una per la benzina e per un frugale spuntino, ed una per appoggiare la testa sulla borsa da serbatoio chiudendo gli occhi per dieci minuti. Poi diretti a casa, dove arrivo alle 4 di mattina, dopo oltre 20 ore, quasi tutte in sella, stanco, sporco, cotto dal sole, un po? dispiaciuto per l?inconveniente che mi è capitato e, soprattutto per non essere riuscito a risolverlo e essermi lasciato prendere dall?ansia.
Ma non importa. Ho fatto ciò che ho sognato per due anni e, nonostante tutto, ne è valsa davvero la pena. Chissà?magari tra un anno riuscirò a fare il bis :-)
Anonymous
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Questo me lo studio con calma perchè perchè ne vale davvero la pena 8-) ;)
Anonymous
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:-champion
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